La legge di Newton

 

L’influenza del lavoro di Newton sul mondo scientifico fu così grande che la sua meccanica, pubblicata nei Principia del 1686, giunse praticamente inalterata fino alla fine del XIX secolo.

Newton generalizzò l’analisi che Galileo aveva compiuto solo in un numero ristretto di casi semplici, e riuscì a formulare il problema nei suoi termini più generali, e in maniera quantitativa.

Servendosi della sua invenzione del calcolo differenziale e integrale (che viene eseguita nello stesso periodo indipendentemente anche da Liebniz), Newton fu in grado di scrivere una relazione quantitativa fra la forza agente su un corpo e l’accelerazione (variazione di velocità avvenuta nell’unità di tempo) acquisita di conseguenza dal corpo:

                             

                              (1)                                                  

 

Questa formulazione lega la forza F con il moto che la forza imprime.

Infatti l’interazione della massa M con l’ambiente circostante, espressa tramite la forza F, determina l’accelerazione a della massa, ovvero l’incremento della sua velocità nel tempo.

L’unità di misura della forza, secondo il Sistema Internazionale è il N:

 

    

Fissata una determinata forza F, l’effetto dinamico è tanto maggiore quanto minore è la massa M del punto, poiché la massa si trova al denominatore della seguente equazione:

 

                               (2)   

 

Per un corpo che si muove con una determinata a, la forza necessaria a mantenere tale moto è tanto maggiore quanto è maggiore il valore di M (poiché nella (1) F e M sono direttamente proporzionali).

Di conseguenza, a causa della forza che agisce sulla massa, si assiste ad una variazione della velocità.

La velocità, che è la variazione dello spostamento nell’unità di tempo, può anche essere espressa come:

 

                        (3)            oppure                                            (4)

 

dove X indica lo spostamento effettuato dal corpo nel tempo .

Quindi l’accelerazione può essere indicata con:

 

                              (5)

 

Quindi, ritornando alla legge di Newton, se si diagramma il tempo, l’accelerazione del corpo è costante, sia in modulo, sia in direzione (fig.1), mentre la velocità del corpo va crescendo proporzionalmente al tempo (fig.2): tale moto si chiama moto uniformemente accelerato.

Lo spazio, nel moto uniformemente accelerato, è determinato da una curva: la parabola (il prodotto di una funzione lineare per una funzione lineare dà una quadrica), In generale, quindi, il punto materiale descriverà una traiettoria curvilinea (fig.3).

   

Quindi le relazioni del moto uniformemente accelerato, che derivano dalla legge di Newton, sono:

 

                              (6)                                 

 

Il principio di inerzia

 

 

Per secoli, il problema del moto e delle sue cause fu il tema centrale della filosofia naturale, nome che un tempo indicava ciò che ora chiamiamo fisica.

Ma fu necessario attendere il tempo di Galilei e di Newton perché si producessero progressi spettacolari nella risoluzione del problema.

Prima di Galileo, molti filosofi pensavano che, per far muovere un corpo, dovesse egire qualche influenza esterna o “forza”.

Per essi lo stato naturale di un corpo era la quiete: così, affinché esso potesse muoversi su una linea retta con velocità costante, qualche agente esterno avrebbe dovuto spingerlo continuamente.

In realtà, se potessimo eliminare del tutto gli attriti, il corpo continuerebbe indefinitamente a muoversi in linea retta con velocità costante. Una forza esterna è necessaria per cambiare la velocità del corpo, ma per mantenere la velocità del corpo non è necessaria alcuna forza.

Un corpo si muove con velocità costante quando alla forza che lo fa muovere si oppone la forza che lo fa frenare. Nel caso dell’automobile, per esempio, alla forza che tende a farla muovere si oppone la forza di attrito.

Un corpo, quindi, soggetto all’equilibrio di forze o a nessuna forza, mantiene il suo stato di quiete.

E’ con il principio di inerzia che Newton chiarisce tutto ciò: un corpo non soggetto a forze non subisce cambiamenti di velocità, ovvero resta in uno stato di quiete se era in quiete (V=0), oppure si muove di moto rettilineo uniforme (V costante non nulla).

Quindi l’assenza di forze o l’equilibrio di forze non implicano che non ci sia il moto, bensì comportano che la velocità non vari.

 

 

 

 

 

 

Il principio di inerzia è contenuto, come caso particolare, nella legge di Newton: in assenza di interazione con l’esterno, la forza è nulla e quindi a=0 e V=cost.

Poiché il moto uniformemente accelerato segnala la presenza di una forza agente, il principio di inerzia richiede, in caso di moto, che questo sia rettilineo uniforme. Nel moto rettilineo uniforme, poiché la velocità è costante (fig.5), lo spazio cresce proporzionalmente al tempo (fig.6):

 

Mentre nel moto uniformemente accelerato la velocità cresce proporzionalmente al tempo, nel moto uniforme è lo spazio che cresce secondo il tempo.

Le relazioni, quindi, che caratterizzano il moto rettilineo uniforme sono:

 

                             (7)

 

In realtà, il principio d’inerzia è una considerazione sui sistemi di riferimento.

Esso infatti definisce l’importanza dell’osservatore inerziale: se una particella non è soggetta a forze, esiste un osservatore inerziale rispetto al quale la particella si muove di moto rettilineo uniforme. Ciò che si vuole sottolineare è che non ha senso descrivere un moto senza definire rispetto a cosa.

In questa legge, non viene fatta distinzione tra un corpo in quiete e uno in moto a velocità costante. Entrambi questi moti sono “naturali” in assenza di forze.

Per un osservatore solidale con il primo sistema, il corpo appare in quiete; mentre per un osservatore solidale con il secondo, il corpo si muove di moto rettilineo uniforme. Entrambi gli osservatori trovano che il corpo non ha accelerazione.

 

 

 

 

 

 

 

Il principio di conservazione dell’energia

 

Nei Principia di Newton, il termine “energia” non compare.

Questo termine, infatti, è stato usato per la prima volta da Thomas Young nel 1807.

Nel ventennio tra il 1830 e il 1850, personalità come Carnot, Clausius, Faraday, Joule, Helmholtz e Kelvin giunsero a chiarire il ruolo fondamentale dell’energia e a formulare il teorema fondamentale della conservazione dell’energia, alla base del primo principio della termodinamica.

Non è possibile associare una singola persona a questa scoperta, ma nel diario di Carnet si legge che “… il lavoro meccanico è una quantità naturale, invariante e che più correttamente non è mai prodotto né distrutto”.

Si scoprì quindi che, a differenza della forza, l’energia è globalmente limitata.

Il principio di conservazione dell’energia afferma, infatti, che l’energia può venire trasformata da una forma all’altra, ma non può venire né creata, né distrutta; l’energia totale è costante.

Non è possibile creare energia dal nulla, ma solamente operare trasformazioni che la rendono utile agli scopi pratici. Quella che comunemente chiamiamo “produzione di energia” significa solamente la conversione di energia già esistente in natura sottoforma chimica, nucleare, idrica, ecc..

La forma primaria di energia è il lavoro meccanico: definiamo il lavoro fatto dalla forza sulla particella il prodotto del modulo F della forza per lo spostamento X percorso dalla massa:

 

                              (8)

 

L’unità di misura del lavoro è  Nm=J.

Tuttavia la forza costante che agisce sulla particella può non agire nella direzione in cui questa si muove (fig.7):

 

 

 

 

La componente di F che compie il lavoro ha il valore di Fcosa.

Il lavoro fatto, quindi, è:

 

                               (9)

 

La forza verticale che mantiene un corpo a distanza fissa dal suolo, quindi, non produce lavoro, poiché a=90° e, quindi, cosa=0.

Invece, quando una forza orizzontale trascina orizzontalmente un corpo, o quando una forza verticale lo spinge verticalmente, il lavoro fatto è massimo, poiché a=0 e cosa=1.

Supponiamo, infatti, di avere una forza costante che spinge un corpo M; sappiamo che viene erogata energia, che dalle equazioni (5) e (1), risulta essere:

 

                            (10)

 

L’energia, all’inizio dei tempi, è piccola; con l’avanzamento del tempo, accelerando il corpo, l’energia è elevata, poiché cresce con il quadrato del tempo.

Consideriamo un punto materiale che si muove lungo una generica traiettoria curvilinea con F, risultante delle forze agenti sul punto (fig.8):

 

 

Possiamo definire il lavoro di F, compiuto durante lo spostamento da A a B, la quantità scalare:

 

                              (11)

 

Il lavoro è, quindi, l’integrale di linea della forza F, cioè è dato della somma di infiniti contributi infinitesimi dL:

 

                                                     (12)

 

 

 

 

 

La potenza

 

La potenza viene definita come il lavoro nell’unità di tempo:

 

                              (13)

 

La potenza istantanea, che caratterizza la rapidità di erogazione del lavoro, si esprime con:

 

                          (14)

 

Nel Sistema Internazionale, l’unità di misura della potenza è il W:

 

 

Il W prende il nome da James Watt, il cui motore a vapore fu il predecessore dei potenti motori di oggi. Fu Watt stesso a suggerire come unità di potenza quella fornita da un cavallo considerato come una macchina. Il cavallo-vapore  cale circa 746W.

Il lavoro può quindi essere espresso come:

 

                              (15)

 

Questa è l’origine del termine chilowattora. Un chilowattora è il lavoro compiuto in un’ora da un sistema che lavora alla potenza costante di 1KW.

Quindi

 

 

 

Dalle equazioni (3), (6) e (11), deriva che:

 

                              (16)

 

Quindi si può anche esprimere la potenza che F comunica a un corpo in moto con velocità V.

La potenza risulta molto importante per qualificare le prestazioni di un dispositivo o di una macchina che fornisce lavoro. A parità di tempo, ha maggiore potenza quella macchina che lo eroga in minor tempo.

La potenza disponibile, che una macchina fornisce, è costante nel tempo, mentre la potenza istantanea cresce linearmente con il tempo.

C’è un istante in cui la potenza disponibile viene raggiunta (fig.9): dopo questo istante, l’accelerazione della macchina cessa.

 

 

Il primo principio della termodinamica

 

Fino alla metà dell’800, si credeva che il calore fosse un fluido. Si parlava, infatti, di fluido calorico, poiché un corpo caldo diffonde calore nel corpo freddo con cui è a contatto.

L’unità di misura del calore era la kcal: la kcal era definita come la quantità di calore necessaria per far salire di 1° la temperatura di una massa d’acqua di 1kg.

Nella II metà dell’800, Joule, Carnot, Kelvin supposero che il calore è energia; calore ed energia sono grandezze congrue. Fu possibile giungere a una tale scoperta grazie ad una serie di esperimenti effettuati nel corso dell’800.

Uno di questi, per esempio, venne effettuato con il calorimetro.

 

Fig.10: il calorimetro

 

All’acqua si fornisce calore attraverso il fuoco, ed energia meccanica attraverso la paletta mescolatrice. Osservando la corrispondenza tra gli effetti del calore e gli effetti dell’energia meccanica, si giunse alla scoperta dell’equivalente meccanico del calore:

 

Si giunse, inoltre, a formulare l’equazione che fornisce la temperatura di una massa d’acqua, risultante dall’unione di due masse a diversa temperatura (fig.11):

 

                              (17)

 

 

 

Per enunciare il primo principio della termodinamica, è necessario dare la definizione di sistema.

L’insieme sistema più ambiente si chiama universo termodinamico (fig12):

*      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si possono avere due tipi di sistemi:

 

 

Se tra il sistema e l’ambiente avvengono scambi di energia e di materia, il sistema è detto aperto. La materia, quindi, è contenuta in una pelle attraverso la quale è possibile il passaggio tra l’esterno e l’interno. Un sistema ha M=cost se Min=Mout.

Il sistema si dice chiuso se sono esclusi scambi di materia, ma si hanno scambi di energia.

Alla base della termodinamica dei sistemi chiusi vi è il primo principio.

Il primo principio della termodinamica afferma che se il sistema compie una trasformazione dallo stato 1 allo stato 2, scambiando calore e lavoro con l’ambiente, Q e L dipendono dalla trasformazione che congiunge i due stati termodinamici, mentre la differenza Q-L risulta indipendente dalla trasformazione (fig.13).

 

 

Infatti, se al sistema 1 viene fornito calore, avviene una relazione tale che modifica il suo stato fisico.

Lo stato fisico di un sistema è definito come la collezione di informazioni numeriche delle grandezze che descrivono le caratteristiche di tutti i punti del sistema. Le proprietà di un sistema omogeneo e in equilibrio, infatti, valgono per tutti i punti.

Le variabili indipendenti che caratterizzano un sistema chiuso sono due: per esempio, le coppie: E-P, P-V, T-P.

Quindi dallo stato fisico P1,V1 del sistema 1, si passa allo stato fisico P2,V2 del sistema 2, poiché un cambiamento di stato fisico comporta il cambiamento dei parametri. Nel passare dallo stato 1 allo stato 2, l’energia contenuta nel sistema cambia: il sistema riceve calore dall’ambiente e il sistema produce lavoro (fig.14).

 

 

 

Passando dallo stato 1 allo stato 2 attraverso vari cammini la differenza

 

                               (18)

 

L’energia, infatti, è una funzione di stato, cioè è una grandezza fisica il cui valore numerico dipende solo dallo stato fisico e non dal cammino percorso per arrivarci.

Quindi si ottiene che:

 

                    (19)

 

Questa equazione esprime il primo principio della termodinamica, che viene assunto come postulato basato sull’esperienza.

In un sistema chiuso, se viene immagazzinata energia, ci sarà la liberazione dell’energia.

Il significato profondo, quindi, del primo principio è la conservazione dell’energia.

 

 

 

Il problema energetico oggi

 

Al giorno d’oggi, una società caratterizzata da un sistema energetico inefficiente cade vittima di sprechi e distorsioni, che si riflettono negativamente sulla sua economia, sull’ambiente e ne aumentano la dipendenza dalle importazioni.

Le restrizioni energetiche, imposte all’Italia dall’embargo petrolifero del 1972, non pare abbiano avuto devastanti conseguenze, ma sono apparse come campanello d’allarme. Questo ha spinto i paesi industrializzati verso soluzioni meno onerose, meno inquinanti, tecnologicamente più avanzate e verso il recupero di fonti energetiche fino allora trascurate.

Dal 1973 al 1982 l’uso di energia è diminuito nei paesi industrializzati dell’1,2%: segno evidente che questi paesi hanno reagito alla crisi con una ristrutturazione energetica. Questa tendenza si è purtroppo fermata negli anni seguenti a causa della caduta del prezzi del petrolio e il risparmio ottenuto è stato annullato dai paesi in via di sviluppo.

Non si può parlare di energia senza discutere, anche, l’effetto serra, a causa del quale la temperatura media della terra sta salendo pericolosamente.

La principale causa dell’effetto serra è l’emissione di CO2 e di altri gas a effetto serra, i quali non possono uscire dalla terra essendo assorbiti dall’atmosfera, che si riscalda (Fig.15).

 

Fig.15: percentuali delle emissioni di CO2 in Italia nel 2000

 

 

Recentemente a Kyoto in Giappone si è firmato uno storico accordo volto a salvaguardare gli equilibri del pianeta. Il protocollo impegna 38 paesi industrializzati e ridurre in maniera considerevole l’emissione di gas responsabili dell’effetto serra.

Di importanza decisiva risulteranno la aree urbane: è infatti proprio nelle città che si produce una grande quota delle emissioni globali di gas. Nell’ambito di queste strategie risulta essere essenziale l’impiego dell’energia solare e altre fonti alternative di energia.