MOTO ESTERNO

 

Introduzione

Con il termine "moto esterno" indichiamo quella parte di fluidodinamica che studia il moto dei fluidi attorno ai corpi.

Lo studio del moto esterno è stato prevalentemente sviluppato dagli studiosi di aerodinamica al contrario del moto dei fluidi interno ai corpi, materia di chi si occupa di idraulica.

Il moto esterno, quindi, coinvolge tutti quei casi in cui un fluido viene a contatto con la superficie esterna di un oggetto ed è equivalente, ai fini delle leggi fisiche, il fatto che l’oggetto sia fermo e il fluido si muova o che il fluido sia fermo e l’oggetto si muova. In sostanza è importante il moto relativo tra fluido e corpo di contatto (si veda "Approfondimenti - Galleria del vento").

Problemi tipici dello studio del moto esterno, oltre agli studi di aerodinamica, possono essere, per esempio, i seguenti:

Alla base dello studio del moto esterno vi è il Paradosso di D’Alambert di seguito esposto.

 

Paradosso di D’Alambert

Il Paradosso di D’Alambert si basa sulla contrapposizione dei risultati dello studio teorico con le osservazioni che si possono comunemente effettuare sugli effetti del moto esterno. Il problema è quindi il calcolo delle forze che i corpi ricevono da un fluido in movimento (o viceversa se sono i corpi stessi a muoversi nel fluido) ed è noto dall’esperienza che il moto relativo di un fluido rispetto ad un corpo provoca forze che possono essere

FRENANTE (forza che si oppone ad un proiettile in moto)

UTILE (forza portante dell’al di un aereo)

Ma a questo risultato non si giunge se si eseguono i calcoli con un fluido ideale, ovvero un fluido con viscosità nulla (m = 0). Di seguito l’enunciato di D’Alambert.

Se il fluido è ideale esso porta ad una forza trasversale nulla

 

Dimostrazione dell’enunciato (fluidi ideali)

Studiamo il fenomeno, così come fece D’Alambert, per un filo di forma cilindrica sospeso in aria supponendo che l’aria sia un fluido ideale.

In figura 1 è mostrato il nostro sistema dove u¥ è la velocità del fluido che scorre con un profilo di velocità piatto come rappresentato in sezione dalla figura 2.

Fig.1 - filo sospeso investito da aria.

 

Fig.2 - sezione sistema.

H altezza del profilo del vento interessato all’oggetto;

A+B sezione di passaggio del fluido ai lati dell’oggetto;

D grandezza caratteristica del sistema;

1-1 sezione 1;

2-2 sezione 2.

L’aria, con un fronte di velocità piatto, lambisce il solido e, non potendolo attraversare, si sposta lungo la sua superficie esterna. In questo modo la sezione di passaggio si riduce del diametro del cilindro. Quindi, supponendo una densità del fluido r costante (la comprimibilità del fluido è un effetto del secondo ordine), si può scrivere l’equazione di continuità nel seguente modo:

(1)

dove:

W velocità;

L lunghezza del cilindro.

Quindi:

(2)

così che w2 è maggiore di w1.

Si noti che molto esternamente sono presenti zone in cui gli effetti di perturbazione generati a causa del solido risultano praticamente nulli in quanto la distanza è molto elevata rispetto alla grandezza caratteristica D.

Nella zona ristretta intorno al cilindro (sezione 2) il profilo di velocità dell’aria non è più piatto come nella sezione 1 ma risulta essere del tipo mostrato in figura 3.

Fig.3 - profilo di velocità.

Per l’ipotesi dell’aderenza la velocità del fluido a contatto con la superficie del solido è nulla. Scrivendo l’equazione di Bernoulli si ha:

(3)

e questo perché le resistenze R sono nulle in quanto è nulla la viscosità, la differenza di altezza D Z è nulla e non vi è nessun lavoro l.

Per la 2, si ha che:

(4)

Per i punti a e b si ottiene, dalla 3, il valore di pressione p2 definito come:

(5)

Discorso diverso per i punti c e d. Qui la velocità del fluido è nulla (w2=0) e la pressione non è p2 ma è la pressione di ristagno pr. Riscrivendo l’equazione di Bernoulli per tali punti otteniamo:

(6)

e pr sarà maggiore di p1 e p2.

Definendo un angolo q tale che in senso orario valga

q = 0° per il punto c

q = 180° per il punto d

si può ricavare un andamento della pressione sulla superficie come nel grafico 1.

Grafico 1 - andamento della pressione sulla superficie del cilindro.

Dal momento che esiste una pressione, esiterà anche una forza F ortogonale alla superficie laterale del cilindro. Per calcolarla usiamo relazioni integrali.

Definita la superficie s del solido e il raggio R della circonferenza di base, calcoliamo l’elemento infinitesimo di superficie che risulta

(7)

ed essendo la pressione p una funzione dell’angolo q (come visto nel grafico 1) e la componente ortogonale del vettore forza e la sua proiezione tramite il coseno, si ricava che

(8)

Sostituendo la 7 nella 8, integrando da 0° 180° e moltiplicando per due dal momento che quanto detto sin’ora vale specularmente anche per la parte di cilindro compresa tra 180° e 360° (senso orario), si ottiene:

(9)

Quest’ultimo risultato è ciò che rende paradossale il ragionamento in quanto la forza F non è, nella realtà, nulla. Questo indica che

non esistono fluidi ideali.

 

Studio del sistema per fluidi reali

Verificato che il fluido ideale non esiste e non ne è ragionevole l’uso, ripetiamo lo studio fatto sopra per fluidi reali, ovvero fluidi che possiedono una certa viscosità m .

Avendo l’aria una certa viscosità, si sviluppa un attrito con la superficie del cilindro. In questo caso parte di energia cinetica viene persa per scambio termico; ne segue che l’aria attraversante la sezione 1 ha più energia di quella che passa attraverso la sezione 2. Ne segue che la componente di forza normale alla superficie non avrà più disposizione simmetrica come in precedenza ma il suo valore (in modulo) tenderà a diminuire muovendosi da 0° a 180° in senso orario (e analogamente da 0° a 180° in senso antiorario). La pressione avrà un andamento del tipo rappresentato nel grafico 2.

Grafico 2 - confronto pressione sulla superficie del cilindro tra fluido reale ed ideale.

Come anticipato, la curva del fluido reale ha la coda più bassa rispetto a quella del fluido ideale, cioè qui si nota la perdita di energia dovuta all’attrito. Questo scostamento provoca uno sbilanciamento di forze: ora vi è una forza risultante F che non è più nulla (l’integrale 9 è diverso da zero) e che tende a trascinare l’oggetto (figura 4).

Fig.4 - forza risultante per cilindro immerso in fluido reale.

 

 

Tensione tangenziale - forza di trascinamento

Per lo studio di questo argomento manteniamo lo stesso schema del paragrafo precedente.

Nel grafico 2 la differenza tra la curva reale e quella ideale è volutamente molto piccola; ciò per mostrare che in effetti questa forza non sempre è apprezzabile. In effetti è molto più apprezzabile (in generale) la tensione tangenziale t , ovvero la tensione che si esercita tangenzialmente alla superficie dovuta all’attrito viscoso dell’aria (figura 5).

Fig.5 - tensione tangenziale per il corpo cilindrico di figura 1.

Il valore di t lo si può ottenere dal teorema di Newton

(10)

dove n è la normale rispetto alla superficie laterale del cilindro e u è la velocità dell’aria nell’intorno del punto. Per la misurazione di u si può usare un tubo di Pitot scorrevole grazie al quale si può ottenere il profilo di velocità (figura 6).

Fig.6 - misura profilo di velocità tramite tubo di Pitot.

Riportando i valori in un grafico si ottiene una rappresentazione dello sforzo tangenziale in funzione dell’angolo q del tipo

Grafico 3 - tensione tangenziale lungo la superficie del ilindro.

con q orario che vale

q = 0° per il punto c

q = 180° per il punto d

Dalla tensione tangenziale possiamo ricavare la forza di trascinamento FT che è definita come

(11)

e anche per questa formula valgono le considerazioni fatte per la 9.

 

Teoria dei modelli

Sin’ora abbiamo studiato un caso di problema relativamente facile; ma nonostante ciò non siamo riusciti a trovare espressioni analitiche semplici per le forze: nel caso reale risulta molto complesso calcolare analiticamente il valore p(q ) e t (q ). Per i casi più complessi, ovvero per casi in cui i solidi non siano delle figure geometriche elementari, è praticamente impossibile valutare numericamente le grandezze di cui sopra. Nonostante l’impiego di computers e algoritmi di calcolo sempre più potenti e sofisticati, la complessità intrinseca del problema è tale da non permettere uno studio preciso. Per questi motivi, la fluidodianamica esterna viene studiata principalmente per via sperimentale, cioè con le cosiddette gallerie del vento (si veda "Approfondimenti - Galleria del vento").

Lo studio dei sistemi complessi (per esempio ali di aerei, automobili, radiatori, ecc.) richiederebbe, specialmente per oggetti di grandi dimensioni, gallerie del vento molto grosse e quindi molto costose. A questo inconveniente pone rimedio la teoria dei modelli che, come dice la parola stessa, fa uso di modelli in scala del sistema da studiare.

 

Enunciato della teoria dei modelli

Per studiare la fluidonimamica esterna di un sistema con lunghezza caratteristica L è possibile usare un modello in scala con lunghezza caratteristica L’<<L. I risultati ottenuti con quest’ultimo possono venire riportati sul modello originale tramite i numeri puri.

 

Grandezza caratteristica - Area frontale

Già in precedenza abbiamo usato il concetto di grandezza caratteristica di un sistema; ora definiamo meglio tale dimensione.

La grandezza caratteristica è la dimensione di una particolare zona presa come riferimento per tutte le altre (per esempio il diametro del cilindro usato in precedenza). Scalando questa viene scalando l’intero sistema.

L’area frontale è quella superficie presa come riferimento durante le prove. Quindi, determinata l’area frontale, i valori di forza e pressione sono riferiti ad essa si veda figura 7).

Fig.7 - esempio di area frontale

 

Numero di Reynolds

Come visto nelle precedenti lezioni, il numero di Reynolds si calcola con l’usuale formula

(12)

dove

u velocità del fluido;

D grandezza caratteristica;

viscosità cinematica del fluido.

Per la teoria dei modelli possiamo eseguire prove di laboratorio su un modello in scala con grandezza caratteristica D’<D trovando un valore del numero di Reynolds (Re) che dovrà essere uguale al numero di Reynolds trovato in precedenza sul modello reale (Re). Cioè:

(13)

In questo caso si nota che, essendo la viscosità cinematica costante (se si suppone uguale la temperatura e lo stesso fluido), affinché i due numeri di Reynolds (numeri puri) rimangano uguali occorre eseguire prove con u’>u.

 

Coefficiente di resistenza

Abbiamo visto durante lo studio del moto dei fluidi in un tubo che, date le caratteristiche del tubo e del fluido e trovato il valore del numero di Reynolds si ottiene il coefficiente di attrto x . Possiamo quindi affermare che se il numero di Reynolds rappresenta la causa, il coefficiente di attrito rappresenta l’effetto.

In modo del tutto simile, anche per il moto esterno si può ricavare l’analogo di x , ovvero il coefficiente di resistenza CF. Tale valore si trova su grafici caratteristici delle varie forme geometriche.

Analogamente al CF si possono definire

CP coefficiente di portanza

Cr coefficiente di resistenza

Il coefficiente di portanza determina la forza di portanza, ovvero, la forza che spinge verso l’alto il modello (per esempio le ali).

Il coefficiente di resistenza determina la forza di attrito che si oppone al moto relativo fluido - oggetto. Tale forza è anche detta forza resistente. Il grafico 4 mostra i valori di Cr per cilindro e sfera.

Grafico 4 - valore dei coefficienti di resistenza e portanza di cilindro e sfera.

(Nota: scarsa precisione dovuta alla scannerizzazione e al formato non vettoriale dell’immagine)

Analogamente esistono grafici per il coefficiente di portanza.

 

Forza di resistenza - Forza di portanza

La forza di resistenza (Fr) è la forza che tende a trascinare il corpo lungo una direzione. La sua espressione analitica è

(14)

dove

u velocità;

Af area frontale;

densità del fluido.

La forza di portanza (Fp) è la forza responsabile della spinta verso l’alto (o verso il basso) di un oggetto. Per esempio le ali di un aereo sono geometricamente studiate per ottenere una forza di portanza più elevata possibile. La sua espressione analitica è

(15)

con i simboli già discussi.

La somma vettoriale della 14 e della 15 è la forza di trascinamento totale.

 

 

Approfondimenti

 

Galleria del vento

Già in precedenza si è accennato alla galleria del vento; ora, come introduzione ad un argomento che sarebbe assai complesso, spieghiamo brevemente di che cosa si tratta.

Le gallerie del vento sono apparecchiature (anche di dimensioni ragguardevoli) utilizzate per compiere studi fluidodinamici e in particolare aerodinamici. Infatti, qui si eseguono esperiemnti per la misura degli sforzi che il vento provoca su una apparecchiatura (automobile, radiatore, ala di aereo, ecc.). In questo modo si evita di ricorrere a metodi di calcolo numerici assai complessi (come già accennato nell’introduzione della teoria dei modelli).

La struttura di una galleria del vento è rappresentata in figura 8.

Fig.8 - schema di galleria del vento.

La descrizione è la seguente.

Il ventilatore genera un flusso di aria con una certa velocità; tale aria viene fatta passare attraverso una griglia equalizzatrice che serve per creare un profilo di velocità piatto. L’aria investe, quindi, l’oggetto dello studio il quale è posto sopra una pedana. La pedana può essere del tipo rappresentato in figura 9.

Fig.9 - particolare della pedana.

In questo caso la pedana è costituita di un nastro scorrevole con trasduttori di forza usati per la misura dei carichi aerodinamici scaricati sul terreno e sensore di contrasto per misurare la spinta posteriore (oltre che per mantenere fermo il modello).

Inoltre si pongono sulla superficie dell’oggetto in questione diverse decine di piccole cannucce per misurare la pressione nei vari punti e ciò equivale ad avere tubi di Pitot che misurano la velocità dell’aria.

È possibile anche usare altri trasduttori per eseguire varie misure legate alla fluidodinamica (per esempio trasduttori di coppia, ecc.).

 

Ali di aereo

Le ali di un aereo sono gli oggetti che per antonomasia vengono associati allo studio del moto esterno dei fluidi. Esse sono costruite per sfruttare al meglio la forza di portanza (si veda l’espressione 15) in modo da poter far sollevare il veivolo usando la più bassa forza di trazione possibile con un notevole guadagno in termini di rendimento del sistema.

Il profilo di un’ala è rappresentata in figura 10

Fig.10 - profilo alare con flusso di aria.

dove:

P forza di portanza (FP);

R forza di resistenza (Fr).

La regolazione delle precedenti due forze avviene mediante i cosiddetti flaps, ovvero sporgenze inclinabili poste sull’ala (figura 11).

Fig.11 - particolare di ala: flap.

Affinché un aereo possa galleggiare nell’aria occorre che la forza portante sia tale da bilanciare la forza peso. Inoltre occorre che il centro di spinta, ovvero il punto di applicazione della forza portante, coincida con il centro di gravità dell’aereo in modo da non provocare momenti che portino in rotazione il veivolo. Per questo motivo, negli aerei è presente una coda con flaps tali da ottenere una configurazione ottimale come appena detto. Si veda la figura 12 che mostra le forze che agiscono su un aereo in moto.

Fig.12 - forze che agiscono su un aereo.

Un ultimo grafico rappresenta l’andamento della forza di portanza e di resistenza in funzione dell’angolo di regolazione dei flaps (per un aereo) (fig.11).

Grafico 5 - forza di portanza e forza resistente (aereo).

Si nota che la forza portante risulta maggiore della resistente in un primo tratto; questo è il tratto in cui deve lavorare l’aereo per un rendimento ottimale. L’angolo a 1 è detto angolo di stallo.

Per gli aerei il rapporto Fp/Fr è dell’ordine di 4¸ 5 ma può arrivare a 12 per gli alianti.

 

Profili NAKA

Come detto più volte lo studio aerodinamico è molto complesso; quindi lo studio di sistemi necessita di prove sperimentali anche molto costose. A ciò si può ovviare ricorrendo a forme geometriche NAKA, ovvero profili già studiati con dati reperibili in pubblicazioni (il grafico 4 è un esempio di profilo NAKA).